Nuove Strade per myGenomix

StradeCon grande piacere e con un pizzico di orgoglio vi annuncio che da oggi potrete leggere qualche mio articolo sulla nuova rivista online Strade. In questo magazine si parla soprattutto di politica e di economia (argomenti sui quali non sono certo un esperto), ma hanno anche una fantastica sezione “Scienza e razionalità” dove scrive gente del calibro di Silvia Bencivelli e Giordano Masini. Mi aggiungo a questa rispettabilissima compagnia, sperando di essere all’altezza. Nel primo articolo (spero ne seguiranno altri!) racconto della battaglia in corso tra 23andMe e la FDA.

La FDA dichiara guerra a 23andMe: a rischio il Facebook della genetica

23andme_front_2_110315“Vi preghiamo di comunicare al presente ufficio, entro quindici giorni lavorativi dal ricevimento di questo lettera, le specifiche azioni che avete intrapreso per rispondere alle questioni sollevate più sopra. Includete la documentazione relativa alle azioni correttive che avete intrapreso. Se tali azioni dovessero svolgersi nel tempo, siete pregati di allegare la programmazione per la loro implementazione. Nel caso in cui non fosse possibile completare le azioni correttive richieste entro quindici giorni lavorativi, giustificatene il motivo e dichiarate le tempistiche necessarie per completarle. Qualora non doveste compiere adeguate azioni correttive, la Food and Drug Administration potrebbe prendere provvedimenti nei vostri confronti. Tali provvedimenti includono sequestro, ingiunzione e sanzioni pecuniarie.”

Termina così la lettera ufficiale della Food and Drug Administration indirizzata a 23andMe, l’azienda di Mountain View che dal 2006 offre servizi di analisi genetiche direttamente ai consumatori, meritandosi per questo motivo l’appellativo di “Facebook della genetica” (a questo proposito, consiglio l’ottimo articolo di Sergio Pistoi su Wired). La società californiana è oggetto delle attenzioni della FDA almeno dal 2010, quando l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione di farmaci e prodotti alimentari scrisse alle principali aziende di genomica personalizzata, chiedendo informazioni dettagliate sui servizi offerti e sulle basi scientifiche che ne giustificherebbero la commercializzazione. Navigenics, Pathway Genomics e deCODEme – le altre società contattate a quel tempo – hanno nel frattempo abbandonato il mercato dei test genetici direct-to-consumer (DTC), oggi ormai dominato dalla sola 23andMe, che si appresta a tagliare il traguardo del milione di kit venduti. Sempre che la FDA non si arrabbi sul serio.

A differenza delle comunicazioni precedenti, infatti, il tono dell’ultima lettera sembra particolarmente aggressivo e minaccioso, e non a torto. 23andMe aveva risposto alle prime sollecitazioni, inoltrando una domanda formale per ottenere dalla FDA l’autorizzazione a vendere il suo Personal Genome Service (PGS), ma alle richieste dell’ente di fornire ulteriore documentazione a supporto della richiesta, 23andMe non ha mai replicato. Dopo centinaia di email e decine di incontri durante i quali la FDA avrebbe aiutato l’azienda californiana a mettersi in regola con la normativa vigente, fornendo persino consulenze di tipo scientifico e statistico, ad oggi 23andMe non ha ancora regolarizzato la propria posizione. Ciononostante, continua a vendere i suoi servizi da oltre 5 anni, senza essere mai riuscita a dimostrare all’ente la validità analitica e clinica dei propri test genetici, e mostrandosi anche poco collaborativa nei confronti dell’autorità competente.

In seguito a queste considerazioni, la Food and Drug Administration ha quindi intimato a 23andMe di sospendere la vendita del Personal Genome Service fintanto che l’azienda non avrà fornito i chiarimenti richiesti. In attesa di sapere cosa accadrà, consiglio a tutti i clienti di 23andMe di scaricare i raw data personali sul proprio computer: se la FDA dovesse agire in modo pesante nei confronti dell’azienda californiana, tutti i dati genetici custoditi nella sua enorme banca dati potrebbero infatti diventare inaccessibili.

Non leggete quel DNA

Internet ha cambiato il mondo in cui viviamo. Non basterebbero centinaia di volumi (o migliaia di pagine di Wikipedia, per restare in tema) per spiegare come la nostra società sia stata profondamente trasformata dal punto di vista economico, sociale, scientifico e tecnologico. C’è anche un altro aspetto della vita di tutti i giorni che grazie alla rete sta vivendo una rapida e inarrestabile evoluzione: è il rapporto tra medico e paziente. Basta una connessione a internet e un computer per avere accesso a quantità di informazioni di rilevanza medica un tempo inimmaginabili: non serve più una laurea in medicina per conoscere l’efficacia di un farmaco o i meccanismi alla base delle patologie, è sufficiente una ricerca ben fatta su Google ed ecco che si è letteralmente travolti da una valanga di informazioni.

Certo, come ogni navigatore sa, non tutti i siti web sono affidabili: chiunque, infatti, potrebbe aprire un blog e dare indicazioni spacciandosi per un luminare della medicina. E non sempre è facile distinguere l’informazione di qualità da quella scadente. Fortunatamente, esistono ormai diversi siti che godono di buona reputazione, curati da medici professionisti che nell’ottica dell’E-health cercano di relazionarsi con il paziente in modo moderno, sfruttando tutte le potenzialità del web 2.0. Negli Stati Uniti sono molto utilizzati MedScape e il sito della Mayo Clinic, mentre qui da noi ci sono diversi servizi di domande e risposte (Dica33, PagineMediche, Medicitalia) dove professionisti del sistema sanitario si mettono a disposizione dei pazienti offrendo consulenze gratuite. Ancora più estremo è il caso di Patients Like Me, una community dove i pazienti possono incontrare altre persone che soffrono dello stesso disturbo e discutere con loro dei sintomi e dell’efficacia delle cure. Si va inoltre verso una sempre maggiore informatizzazione: non conosco la situazione nelle altre regioni italiane, ma qui in Lombardia è ora possibile utilizzare la propria tessera sanitaria per accedere online ai referti medici e a tutti gli esami eseguiti. Stiamo diventando tutti empowered patients, come dicono gli americani. E spesso i pazienti “potenziati” sono più esperti del loro stesso medico, almeno per quanto riguarda la specifica malattia che li tocca da vicino. Non sempre tutto questo è ben visto dalla classe medica: dare più potere al paziente significa anche toglierne ai medici, e negli Stati Uniti comincia ad affiorare un po’ di malcontento, in particolare quando si parla di genetica.

La Food and Drug Administration ha da poco tenuto un meeting aperto al pubblico in cui si è discusso di test genetici direct-to-consumer (DTC). Si tratta dei test venduti direttamente ai clienti senza l’intermediazione di un medico: l’azienda leader in questo settore è la californiana 23andMe, ma le società attive sul mercato sono tantissime (l’ultima ad apparire è stata la Lumigenix). Secondo molti medici interrogati dalla FDA, questa modalità di vendita sarebbe pericolosa per il paziente, che si trova da solo ad affrontare il proprio DNA e le proprie predisposizioni genetiche. I rischi segnalati sono diversi, ma i principali sono un’ansia ingiustificata davanti a brutte notizie, oppure, nel caso contrario, un’eccessiva rassicurazione, che inviterebbe il paziente a non fare regolari esami di controllo. Non è stato sufficiente il recente studio condotto dallo Scripps Institute, dove si dimostra l’assenza di danni psicologici a lungo termine nei clienti delle aziende DTC: la FDA sembra aver scelto un approccio paternalistico, a difesa dei consumatori e, dicono i maliziosi, degli interessi della classe medica. Il problema grosso su cui si è sorvolato è però un altro: i medici di oggi non sono molto ferrati sulla genetica, o almeno non sulla genetica moderna, fatta di numeri e probabilità.

Le malattie comuni nella popolazione non dipendono da un singolo gene, ma da complesse interazioni tra più geni, oltre che dall’ambiente e dallo stile di vita. Identificare quali e quante varianti genetiche “dannose” si possiedono è relativamente semplice, ma capire come queste intervengano nel determinare il rischio complessivo di ammalarsi è ancora oggetto di discussione. Per massimizzare l’utilità di questi test sono necessarie figure professionali nuove, che conoscano la statistica, la genetica e la medicina, figure che purtroppo non esistono ancora. La strada più giusta da percorrere, ma anche la più difficile, sarebbe stata quella di riconoscere la necessità di queste competenze e fare in modo di crearle; la FDA sembra invece orientata a seguire la strada più semplice, che però non risolverà il problema. Se la presenza di un medico sarà resa obbligatoria per fare un test genetico, molto probabilmente assisteremo alla scomparsa di tutti quei test che i medici non sono in grado di interpretare. Sono sicuro che l’empowered patient non lo accetterebbe di buon grado: di fatto, non potrà più leggere liberamente quanto scritto nel proprio DNA, ma dovrà limitarsi a ciò che, secondo il proprio medico, sarà giusto e utile sapere. La Food and Drug Administration sta preparando per tutti noi una gabbia dorata, in cui vivremo ignoranti, ma sereni.

Fonte: M.Colaiacovo – Estropico Blog

Image Credit: Truthout.org