…E non chiamatelo più DNA spazzatura!

Signori, è giunta l’ora di cancellare dal vocabolario l’espressione “DNA spazzatura”: questo termine, utilizzato per definire quel 98% del genoma che non codifica per proteine, può ormai ritenersi obsoleto. E’ stato coniato in un periodo in cui si credeva ancora che tutto il lavoro, nelle cellule, lo facessero le proteine, e che il DNA non tradotto poteva essere tranquillamente liquidato come un retaggio evolutivo senza alcuna funzione. Negli ultimi anni, tuttavia, la scienza è tornata sui propri passi, avendo scoperto che quella parte del genoma tanto bistrattata possiede in realtà delle importanti funzioni di regolazione: dopotutto, i trascritti che vengono convertiti in proteine sono solo una piccola parte rispetto alle montagne di RNA prodotti dalle cellule. RNA interference e microRNA, scoperti negli anni 90, sono gli esponenti più illustri di questo esercito di nuovi attori saliti alla ribalta, ma non sono i soli.

Si legge in un articolo pubblicato da poco su Cell che dei particolari RNA non codificanti, chiamati Long Non-Coding RNAs, potrebbero infatti essere degli attivatori dell’espressione genica. La scoperta è notevole, perché in passato queste molecole erano state associate, al contrario, a meccanismi inibitori come l’imprinting, cioè quel fenomeno per il quale un allele ereditato da uno dei nostri due genitori viene silenziato. Che i long ncRNAs avessero una qualche funzione gli autori del lavoro l’avevano già sospettato osservando che tre linee di cellule differenti esprimevano diversi set di queste molecole, come a voler suggerire un possibile ruolo nel differenziamento cellulare. Ma quando hanno visto che spegnendoli si otteneva una riduzione dell’espressione dei geni vicini, i ricercatori hanno capito di avere tra le mani un enorme risultato scientifico.

In sette casi sui dodici testati, l’eliminazione del ncRNA con la tecnica dell’RNA interference riduceva la sintesi di geni più o meno vicini, sia sullo stesso filamento di DNA che su quello complementare. Questo significa che, quando presente, il ncRNA ha un effetto positivo sull’espressione dei geni confinanti, effetto confermato da saggi di trascrizione eterologa in cui l’RNA veniva appositamente inserito per stimolare la sintesi di un gene reporter. Come questa attivazione avvenga ancora non è dato sapere. Gli autori ipotizzano che queste molecole potrebbero richiamare dei fattori di trascrizione, facilitandone il legame con il promotore dei geni vicini, oppure allontanare dei repressori, o ancora indurre un rimodellamento della cromatina per favorire la trascrizione.

Quel che è certo è che nei prossimi anni assisteremo a una sicura rivalutazione del cosiddetto DNA spazzatura. Non voglio dire che tutto il genoma umano, dal primo all’ultimo nucleotide, abbia una funzione. Semplicemente, ho l’impressione che gli RNA stiano abbandonando il loro ruolo di comprimari, per diventare sempre più i veri protagonisti delle nostre cellule.

Andersson U et al. “Long Noncoding RNAs with Enhancer-like Function in Human Cells” Cell 2010, 143:46-48.

Image Credit: Cell

Tumore alla prostata e geni nel deserto

Il genoma umano è costituito per il 2% da geni codificanti proteine, mentre il restante 98% contiene altri componenti meno studiati come pseudogeni e piccoli RNA, oppure non viene mai neppure trascritto. Con così tanto DNA non codificante è facile immaginare come sui nostri cromosomi esistano delle vastissime aree completamente prive di geni, dei veri e propri “deserti genici”, come li chiamano gli esperti. Qual è la funzione di questi lunghissimi tratti di DNA apparentemente senza alcuna utilità? L’opinione più diffusa è che qui si trovino regioni regolative, porzioni di genoma cioè che possono influire sull’espressione dei geni, controllando così la quantità di proteine che vengono prodotte.

Si dà il caso che all’interno di uno di questi deserti genici si trovi un gene tristemente famoso nell’ambito della ricerca oncologica, il gene MYC: si tratta di un proto-oncogene, ossia un gene che può partecipare allo sviluppo del cancro quando sovraespresso oppure mutato. A monte di MYC c’è un tratto di DNA non codificante lunghissimo, più di 400mila paia di basi, e studi di associazione realizzati in passato hanno evidenziato come proprio quest’area sia statisticamente associata all’insorgere del tumore alla prostata. Cosa contiene di così importante questa zona misteriosa del cromosoma 8?

Alcuni ricercatori dell’Università di Chicago guidati da Marcelo Nobrega hanno cercato di rispondere a questa domanda. L’ipotesi da cui sono partiti è che da qualche parte in questo deserto genico si trovi un enhancer, cioè un elemento di DNA capace di aumentare notevolmente l’espressione di geni anche molto lontani. Per localizzarlo, gli autori del lavoro pubblicato ieri su Genome Research hanno suddiviso la zona antistante MYC in tre blocchi parzialmente sovrapposti e hanno inserito in un certo numero di topi uno dei tre frammenti. Per monitorare l’attività di queste sequenze ignote hanno utilizzato il gene reporter LacZ, posizionato subito dopo il blocco di DNA non codificante.

Osservando i tessuti in cui LacZ era espresso, i ricercatori hanno notato che due delle tre sequenze testate avevano in effetti la capacità di stimolarne l’espressione proprio nella prostata, e hanno quindi ipotizzato che l’enhancer da essi cercato si trovasse esattamente nella parte di DNA sovrapposta tra i due blocchi. Ma ora ecco il colpo di scena: lì, in quella sequenza di 59mila paia di basi, si trova uno SNP (rs6983267) considerato come uno dei poliformismi associati al più alto rischio di insorgenza del tumore della prostata. La tentazione di verificare in vivo quale potesse essere l’effetto di questa variazione puntiforme sull’attività dell’enhancer era troppo forte. Ebbene, il risultato di questo secondo esperimento è stato proprio quello che ci si aspettava: avere in quella posizione una G anziché una A aumenta terribilmente l’espressione del gene reporter nella prostata.

Questo bellissimo lavoro ha permesso di verificare in vivo, a livello molecolare, quello che succede realmente in una cellula quando si ha una variante genica “rischiosa”. Gli autori invitano la comunità scientifica a seguire un approccio simile al loro per caratterizzare le varianti che emergono dai GWAS, soprattutto perchè molto spesso esse si trovano proprio in aree del genoma non codificanti.

Wasserman NF et al. “An 8q24 gene desert variant associated with prostate cancer risk confers differential in vivo activity to a MYC enhancer” Genome Research, published online 13 July 2010