Metti un OGM all’EXPO

francesco_sgroi_mod

Discutere con un oppositore degli OGM è una delle esperienze più estenuanti che possa capitare a un comunicatore scientifico. Anni di disinformazione e propaganda ideologica hanno contaminato il dibattito pubblico con così tanti luoghi comuni e falsi miti che soltanto i divulgatori più pazienti e capaci riescono ad averla vinta. Come prima cosa, devi rispondere all’ambientalista che mette sullo stesso piano OGM e pesticidi. A questa bizzarra critica si può replicare agevolmente, ricordando che alcune colture geneticamente modificate permettono al contrario di ridurre l’uso di insetticidi, perché in grado – per così dire – di difendersi da sé. Ma non appena rispondi al primo contestatore, ecco arrivare un tale con in mano il famigerato studio di Eric Séralini, secondo il quale un particolare mais OGM sarebbe cancerogeno nei topi. Con un po’ di tempo a disposizione, si riuscirà magari a convincere l’interlocutore del fatto che quello studio sia stato duramente criticato dall’intera comunità scientifica internazionale per le sue gravi lacune metodologiche, e che lo scorso novembre sia stato addirittura ritrattato. Ma il duello dialettico non finirà certamente qui, perché – si sa – OGM significa multinazionali, significa i contadini indiani che si suicidano, significa monocolture, significa essere contrari al Made in Italy, e che gli OGM non ci servono, e che noi italiani dobbiamo puntare sulla qualità e sull’eccellenza. E così via, all’infinito.

Il punto è che gli OGM non ci piacciono, e siamo bravissimi a trovare nuove motivazioni e scusanti per dire no a questa tecnologia ormai diffusa in tutto il mondo. Bisognerebbe invece fare esattamente il contrario, e seguire un approccio rigorosamente scientifico: partire dai dati, da ciò che sappiamo, e solo dopo decidere da che parte stare. Non ho intenzione di entrare nel merito della sicurezza degli OGM per la salute umana, anche perché si tratta di una domanda poco sensata. Non possiamo infatti affermare che gli OGM siano in assoluto sicuri, né che siano dannosi: ogni nuova varietà geneticamente modificata deve essere valutata e approvata singolarmente, a livello europeo, ed esiste un ente (l’EFSA) che si occupa proprio di questo. Vorrei invece sfatare un altro mito molto diffuso in Italia, un mito tenuto in vita soprattutto dalle periodiche dichiarazioni dei nostri politici. Sto parlando della presunta incompatibilità tra gli OGM e il Made in Italy.

In occasione delle primarie del centrosinistra del 2012, il gruppo “Dibattito Scienza” chiese ai candidati – tra le altre cose – un parere sugli OGM. A questo proposito, il politico più in voga del momento – Matteo Renzi – risposte così: “Se è vero che molti dei prodotti agricoli che finiscono nelle nostre tavole sono varietà figlie di incroci e selezioni avvenute nei secoli, e che la ricerca in campo agroalimentare è comunque un fattore positivo e una strada da perseguire, altra cosa è aprire l’Italia a produzioni transgeniche che non hanno nulla a che fare con la qualità e la forza economica dei nostri prodotti agricoli.” E ancora: “Va scelta quindi la via dell’eccellenza, della salvaguardia delle nostre eccellenze agroalimentari e della sicurezza alimentare.”. La convinzione che le biotecnologie siano in contrasto con la tradizione agroalimentare italiana è davvero molto radicata, se anche un politico considerato da molti come un innovatore cade ancora in questi luoghi comuni. Sì, perché la salvaguardia delle eccellenze di cui parla Renzi si ottiene anche attraverso le biotecnologie. Non è una provocazione, ma un dato di fatto. È vero, quando si parla di OGM la mente corre subito alla Monsanto, ai grandi appezzamenti di terreno coltivati a mais e soia, ideali per il business di una multinazionale più interessata alla quantità che alla qualità. Ma questa associazione di idee è fuorviante: gli OGM non sono affatto un’invenzione di proprietà esclusiva delle multinazionali (a parte i brevetti su prodotti specifici, ovviamente), bensì una tecnologia a disposizione di tutti, anche della ricerca pubblica italiana. A questo punto, ci si potrebbe legittimamente chiedere: “Ma l’agricoltura italiana ha davvero bisogno degli OGM?”. E la risposta, fatalmente, è sì. Per due motivi, principalmente: innanzitutto, alcuni dei nostri prodotti tipici devono fare i conti con patologie che ne riducono le produzioni a volte in modo drammatico, e le biotecnologie potrebbero essere fondamentali per salvarli; in secondo luogo, proprio in quanto prodotti del territorio, non sono interessanti per le grandi aziende sementiere multinazionali. In altre parole, la responsabilità di salvare queste colture, preservando così la ricchezza del nostro patrimonio agroalimentare, ricade tutta sulle spalle dei nostri ricercatori.

Se l’accostamento tra Made in Italy e OGM suona ancora strano alle vostre orecchie, prendetevi un po’ di tempo per leggere queste schede tecniche (pdf) redatte nel 2003 dall’Università di Milano. Nell’elenco appaiono varietà famose, come il pomodoro San Marzano, il riso Carnaroli o l’uva Barbera, tutte colpite da malattie che incidono a volte in modo drammatico sui raccolti. E non sempre esiste una soluzione efficace. Per risolvere il problema delle larve di maggiolino che attaccano il melo della Val d’Aosta, ad esempio, viene contemplata tra le soluzioni possibili la rimozione manuale delle larve (sì, avete letto bene!); nessuna soluzione, invece – almeno fino a qualche anno fa – per i virus che infettano i carciofi, le zucchine e il Nero d’Avola. In molti altri casi, si riesce a fronteggiare i patogeni solo facendo uso massiccio di insetticidi. Ma non sempre c’è una patologia di mezzo. Prendete il basilico: la tradizione vuole che nel pesto ligure si utilizzino piante giovani, che però sono sfortunatamente ricche di una sostanza cancerogena, il metileugenolo. In tutte queste situazioni potrebbero venirci in soccorso le biotecnologie. In alcuni casi, la soluzione biotecnologica era già a portata di mano nel 2003. Grazie al lavoro svolto da centri pubblici e privati, era stato infatti possibile mettere a punto un San Marzano transgenico resistente ai tre virus che tormentano questa varietà di pomodoro, un tempo molto diffusa in Campania e in altre regioni del Sud Italia. La resistenza ai virus era stata anche verificata in campo, ma la forte opposizione nei confronti degli OGM ne ha di fatto impedito l’ingresso sul mercato. Un discorso analogo si può fare per il riso Carnaroli, attaccato da un fungo, per il quale la ricerca pubblica aveva già sviluppato una varietà resistente più di dieci anni fa. Questi sono gli esempi forse più eclatanti, ma i progetti di ricerca in questa direzione sono moltissimi. Il problema è che sono rimasti chiusi in un cassetto, nei nostri laboratori pubblici e privati.

Se il settore delle biotecnologie agrarie è oggi in mano alle perfide multinazionali, quindi, la colpa è anche nostra. Ne è responsabile la nostra classe politica, colpevole di aver emanato leggi prive di fondamento scientifico che hanno azzoppato la ricerca pubblica frenando la sperimentazione in campo aperto; ne sono responsabili le associazioni ambientaliste, che nelle loro battaglie hanno spesso mescolato la tecnologia degli OGM, i pesticidi e l’agricoltura intensiva, come se fossero la stessa cosa; ne sono responsabili le lobby del Made in Italy, che pensando di tutelare i nostri prodotti ne hanno quasi decretato la scomparsa (vedi il San Marzano). E potremmo continuare: mai come in questo caso il banco degli imputati è stato tanto affollato. Quel che è certo è che, alla fine, questo clima da caccia alle streghe ha danneggiato sia la ricerca pubblica (gli olivi dell’Università della Tuscia gridano ancora vendetta), sia gli stessi agricoltori italiani che hanno coraggiosamente tentato la strada degli OGM (due nomi su tutti: Giorgio Fidenato e Silvano Dalla Libera). Persino le aziende che producono prodotti DOP come il prosciutto San Daniele oggi giustamente protestano, chiedendo alla Regione Lombardia di poter utilizzare mais OGM coltivato sul territorio italiano, invece che importarlo dall’estero.

Paradossalmente, è stata proprio la forte ostilità dell’opinione pubblica nei confronti di questa tecnologia a spianare la strada alle multinazionali. La richiesta di standard di qualità e di sicurezza sempre più elevati (molto più elevati di quelli normalmente richiesti per i cibi “tradizionali”) ha di fatto creato barriere normative insormontabili per le piccole aziende: solo i soggetti più forti economicamente possono sostenere le sperimentazioni e i test richiesti e ottenere l’approvazione dell’EFSA. E mentre continuano le battaglie tra favorevoli e contrari agli OGM, a suon di decreti regolarmente bocciati dall’Europa, l’EXPO di Milano si avvicina. Sono attesi oltre 20 milioni di visitatori, in gran parte stranieri, che arriveranno nel capoluogo lombardo nel periodo che va da maggio a ottobre del 2015. Con un tema come “Nutrire il pianeta”, la manifestazione meneghina avrebbe potuto rappresentare una straordinaria vetrina del genio italico, testimoniato non solo dalle eccellenze del nostro sistema agroalimentare, ma anche dalle capacità dei nostri ricercatori di valorizzarle con strumenti innovativi. Purtroppo, la paura di quel terribile mostro che va sotto il nome di biotecnologie ci costringerà a riproporre i soliti cliché su quanto fosse buono e naturale il cibo di una volta. D’altra parte, uno dei nostri difetti è proprio questo: affascinati dal passato e spaventati dall’innovazione, noi italiani siamo bravissimi a frenare quando tutti gli altri accelerano.

Foto di Francesco SgroiLicenza CC BY 2.0
Articolo pubblicato su iMille.org

5 pensieri riguardo “Metti un OGM all’EXPO

  1. Qualcosa da obiettare nell’articolo credo di averla. In primis ti dico che di concetto sono contrario agli ogm però faccio dei distinguo quando questi vengono utilizzati per produrre piante vaccino e che niente hanno a che fare con la tradizionale agricoltura. Tu parli molto di scienza, pensiero scientifico, dati scientifici. Ti ricordo solo che la scienza è solo uno strumento che propone probabili verità statistiche accettabili e più o meno condivisibili. Il fatto stesso che esistono non opinioni della gente ignorante che mescola concetti e miti ma, scienziati che sono dall’altra parte della barricata, bè questa la dice lunga sulla sicurezza che tanto si proclama in questo articolo. Ti ricordo il principio di precauzione se non erro ratificato a Cartagena. In secondo luogo a cosa servirebbero gli ogm, a salvare le persone nel mondo dalla carestia o dalla indigenza alimentare?? Ho i miei dubbi, in seconda battuta non è vero che si sano meno pesticidi, poiché l’evoluzione delle specie di insetti che si nutrono delle piante ogm è più veloce della capacità di combatterli. Una femmina resistente con 4 cicli riproduttivi in 2 stagioni supera la barriera creata dalla stessa pgm. Poi c’è il discorso complottista delle multinazionali no? Perché secondo questo articolo non è vero che le maggiori multinazionali del seme non sono anche le multinazionali della agrochimico. Ti esorto a leggere gli studi del Professor. Ceccarelli dell’ ICARDA che nel merito è un luminare. Poi se vogliamo parlare dal punto di vista evoluzionistico dovresti correlarmi l’introduzione dei cibi ogm con la complessità microbica che abbiamo nell’intestino e decretarmi che l’eventuale assorbimento dell’inserto genico della pianta non causi ricombinazioni genetiche che possano essere dannose all’individuo. Ti ricordo che esistono circa 12 miliardi di ricombinazioni minuto nella tua flora batterica. Concludo che l’argomento spesso è stato preso come cavallo di battaglia per proferire consensi in una o altra direzione, tuttavia non semplifichiamo le cose dicendo che è pura demagogia o che si blocca la ricerca. Toccare il DNA è come sfidare la creazione. Siamo troppo piccoli per avere l’idea di tutto il disegno.

    1. Ciao Maurizio, grazie per il commento critico! A me risulta che sugli OGM la scienza sia divisa come lo è sul riscaldamento climatico: una netta maggioranza degli scienziati è possibilista sull’uso degli OGM, solo una piccola parte (ma molto rumorosa!) si dichiara scettica. I vantaggi degli OGM sono innegabili, ci sono molti dati a dimostrarlo. Pochi giorni fa è uscita una meta-analisi che, prendendo in considerazione quasi 150 pubblicazioni scientifiche, conclude che: l’adozione degli OGM ha portato a una riduzione del 37% nell’uso di pesticidi; ha aumentato le rese del 22%; ha aumentato i profitti degli agricoltori del 68%. Certo i numeri variano a seconda dei casi, ma i dati dicono questo per il momento. A che servono gli OGM chiedi. Beh secondo me servono a molte cose, ad esempio ad aumentare le rese e a migliorare le qualità nutrizionali di alcuni prodotti (ad esempio il Golden Rice). Non possono risolvere il problema della fame del mondo, ma possono aiutare a farlo. Quanto alle multinazionali, è vero che controllano il mercato dei semi e dell’agrochimico, ma perché accanirsi contro gli OGM? Gli OGM sono una tecnologia che potrebbe usare chiunque, dall’università pubblica alla piccola azienda biotech italiana. Opporsi a una tecnologia associandola alle multinazionali finisce per danneggiare – agli occhi dell’opinione pubblica – una tecnica che di per sé è neutra e applicabile in diversi modi e per diversi scopi. Se il problema sono le multinazionali attacchiamo le multinazionali, ma lasciamo libere le università pubbliche di sperimentare OGM in campo aperto. Infine, la flora batterica. Perché dovremmo preoccuparci solo degli OGM e non del DNA dei moltissimi cibi di cui ci nutriamo ogni giorno? Le interazioni tra il cibo e ciò che siamo valgono sempre, OGM o non OGM. Il fatto che un cibo abbia un gene in più rispetto a quanto progettato da Madre Natura secondo me non è un motivo sufficiente a spaventarci. La mia opinione generale sulla manipolazione del DNA è che occorra sicuramente cautela e attenzione; non fare nulla per paura di toccare la sacralità della vita secondo me è eccessivo.

  2. La tua formazione non è delle scienze agrarie e si sente che sie un biotecnologo convinto. Viva la scienza mi verrebbe da dire. Non sono contro la sperimentazione ma, ho a volte dei dubbi sulla parzialità delle ricerche e del fatto che non esiste ricerca di base universitaria indipendente. Le università sono divetate i gabinetti delle multinazionali. I dati le statistiche che tu citi sono solo il bicchiere mezzo pieno che tu vuoi proporre. Ci sono questioni sul piano bioetico che non vengono minimamente considerate. Ti rispondo però anzitutto sull’ultima cosa che tu hai citato. Noi da millenni mangiamo cibi che si sono evoluti lentamente con noi con il nostro sistema complesso di digestione e che non hanno mai evidenziato l’introgressione di geni in maniera così netta come potrebbe essere per esempio i promotori di geni virali, se ci sono la natura e la selezione hanno avuto i loro tempi e i loro modi per farlo. Il fatto di introdurre così rapidamente un gene estraneo alla “normale” alimentazione genera secondo me un logico e quanto mai dilemma di basso- tempo di adattamento biologico, tale da non riuscire a farci vedere le conseguenze sul lungo periodo. Di che genere? Questo è appunto il problema. Gli OGM sono una tecnologia normalizzata ma non normale. Il minimo sbaglio che generi a livello molecolare o la minima inesattezza statisticamente irrilevante potrebbe causare danni esponenziali che tu e nemmeno gli scienziati possono prevedere, vedi contaminazione ambientale, trasferimento genico orizzontale e verticale etc.. Sul fatto della fame nel mondo ti ricordo che si muore perché c’è scarsità di moneta che è detenuta in mano a pochi. é l’accesso alle risorse che fa morire le persone, non la scarsità. Ti dirò in più che ovviamente ti sei fatto una domanda? Perché gli ogm vengono coltivati in aree dove usualmente già si fa agricoltura?? Perché non si fanno OGm per mettere a coltura il deserto o le zone estreme del mondo?? Perché semplicemente esistono limiti biologici che non si riescono a superare e bisogna semplicemente accettarlo. Possibile poi che non si riesce a capire che è soltanto un giro di royalties? Brevetti una specie e ti garantisci l’esclusività per decenni, poco male diresti vero?
    Ma in cambio di cosa? Tu lo sai che in Usa per far si che gli insetti per esempio, piralide del mais, non diventino troppo resistenti al mais bt debbono possedere nel campo fasce di tolleranza in ragione del 10% di mais non Bt in modo da favorire che l’insetto si fermi a mangiare all’esterno per non arrivare al bt?? Esiste un qualcosa di molto più potente per aumentare le rese e abbassare le soglie di trattamento ai nocivi delle colture, si chiama rotazione colturale, biodiversità e rispetto dei cicli biologici. La scienza ha fatto progressi ma, dovresti chiederti qual’è il tipo di input che arma la tua voglia di fare ricerca. Lo sai per esempio che le multinazionali tengono per il collo stati africani con ricatti da 100 milioni di dollari? Il ruanda nel 2009 avrebbe beneficiato di 50 milioni se avesse permesso di far coltivare semente di mais ogm… Non voglio buttarla in cose molto grandi, non sono uno scienziato ma, i lati da comprendere sono molti. Infine e chiudo, come tutte le invenzioni tecnologiche, visto che metti in commercio un prodotto, lo dovresti commercializzare a scanso di equivoci. Immagina se gli ogm fossero un motore di un auto… consuma poco, è silenzioso, leggero ma, ogni 1 su mille può esplodere senza ragione.. tu vorresti guidare un’auto così?? O immagina che gli ogm siano una ritrovata come l’eternit cemento amianto. 70 anni e ancora ne stiamo pagando le conseguenze. La scienza dovrebbe darci risposte di verità più delle approssimazioni empiriche, altrimenti ciò che propone è vano. La scienza dovrebbe elevarci intellettualmente e non dovrebbe soltanto riempire quel vuoto emozionale di impotenza che abbiamo come uomini.

    La biologia è la scienza delle eccezioni, un po come la natura, mille variabili e milioni di eccezioni..;-)

    Grazie della chiacchierata…

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