I successi della nutrigenetica: la dieta personalizzata funziona!

Quando si parla di diete, gli inglesi usano spesso l’espressione “one size does not fit all”: signfica che una stessa dieta può essere ottimale per una persona e non funzionare invece per un’altra. Perchè accade questo? Negli ultimi anni, la ricerca genomica ha provato a rispondere a questa domanda e sembra che il modo in cui un individuo si rapporta a quello che mangia dipenda in buona parte dal suo codice genetico. La nutrigenetica è una disciplina che sta finalmente cominciando ad affermarsi nel campo della nutrizione e che cerca proprio di spiegare come il modo in cui metabolizziamo e utilizziamo le sostanze che ingeriamo cambi a seconda dei nostri geni. L’intolleranza al lattosio o la celiachia sono solo i rappresentanti più conosciuti di questo ramo della ricerca in forte sviluppo, e la lista di geni associati in qualche modo alla nutrizione sta diventando sempre più lunga. La bella notizia è che queste nuove conoscenze scientifiche non restano fini a se stesse, ma trovano invece un riscontro nella realtà, come uno studio del 2007 ha dimostrato: una dieta personalizzata basata sulle indicazioni fornite da un test genetico funziona molto meglio di una dieta generica.

In un articolo pubblicato sul Nutrition Journal si spiega che vennero invitati a partecipare allo studio 93 pazienti di una clinica di Atene, pazienti che avevano cercato ripetutamente di perdere peso senza riuscirci. 43 di essi furono seguiti per diversi mesi da nutrizionisti che prescrivevano diete con il metodo classico, mentre i rimanenti 50 ricevettero delle indicazioni aggiuntive basate su un test genetico a cui si erano sottoposti. I 19 geni presi in esame dal test in questione erano relativi ad enzimi del metabolismo per i quali erano note associazioni tra specifiche varianti alleliche e alcuni stili alimentari, e le informazioni ottenute dal test hanno permesso di elaborare diete personalizzate che, come vedremo, hanno funzionato molto meglio.

Tra i tanti geni testati ce n’erano ad esempio quattro associati al metabolismo dell’acido folico. Questa vitamina interviene in un processo fondamentale dell’organismo, cioè la conversione dell’amminoacido omocisteina in una molecola innocua: quando l’omocisteina non viene adeguatamente smaltita, infatti, essa si accumula nel sangue e può provocare malattie cardiovascolari. Deputato a svolgere questa conversione è l’enzima MTHFR, il quale però può presentarsi in due varianti: chi ha la variante meno efficiente ha molto più bisogno di vitamine (e di acido folico in particolare) per riuscire a mantenere bassi i livelli di omocisteina. Altri enzimi, come GSTM1, sono coinvolti nell’eliminazione delle tossine, molecole pericolose che alla lunga possono favorire l’insorgere di tumori. Come nel caso dell’acido folico, anche qui alcuni di essi hanno varianti con una funzionalità limitata e se la persona ha la sfortuna di avere la forma “difettosa” di quel gene è necessario farsi aiutare nel processo di detossificazione. Molecole utili in questo senso sono i glucosinolati, contenuti soprattutto nelle crucifere (cavolfiori, broccoli, cavoli). Gli stessi discorsi valgono per tutti gli altri geni che rientravano nel test. Il gene SOD2 combatte i radicali liberi, ma in presenza di un polimorfismo particolare può diventare meno efficace nella sua attività anti-ossidante (per questa tipologia di pazienti servono dosi extra di antiossidanti e di vitamine). Gli Omega 3 contenuti nell’olio di pesce, invece, sono consigliati per chi ha una certa variante di geni coinvolti nei processi infiammatori, come il gene dell’interleuchina IL6.

Queste e altre informazioni derivanti dal test genetico vennero utilizzate per prescrivere diete ad hoc ai pazienti selezionati, che hanno potuto così alimentarsi nel modo più congeniale al proprio profilo genetico. Inizialmente questo non ha portato nessun vantaggio particolare, dal momento che entrambi i gruppi oggetto dello studio dimagrivano più o meno allo stesso modo, ma mentre dopo un anno di cura il 73% dei pazienti del gruppo nutrigenetico conservava la perdita di peso, la maggior parte di quelli che avevano seguito una dieta classica ingrassava nuovamente. La cosa interessante è che il test non era stato sviluppato specificatamente per influire sul peso dei pazienti, ma semplicemente per offrire consigli personalizzati su come nutrirsi in modo più sano.

Questo lavoro ha dimostrato che l’utilizzo delle informazioni genetiche può aiutare chi è sovrappeso a raggiungere e a mantenere per più tempo il proprio peso forma. Permette inoltre di conseguire uno stato di benessere maggiore, perché la dieta personalizzata interviene direttamente anche sulla prevenzione di diverse malattie. Sempre in questo stesso studio, è stato osservato che oltre a conservare più a lungo un peso ottimale, i pazienti del gruppo nutrigenetico a rischio diabete avevano drasticamente diminuito il livello di glucosio nel sangue. Quindi cosa state aspettando? Chiedete al vostro nutrizionista di fiducia maggiori informazioni: i test genetici sono sempre più diffusi, sono utili e non sono neppure costosissimi.

Arkadianos I et al. “Improved weight management using genetic information to personalize a calorie controlled diet” Nutrition Journal 2007, 6: 29

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